lunedì 18 febbraio 2008

Lo statuto del Partito Democratico ed il coraggio di sperimentare (prima parte).

di Franco Fachini.

La sfiducia nei partiti.
Nei prossimi giorni il dibattito sullo Statuto entrerà nel vivo sia a livello nazionale che regionale.
Costruire le regole fondamentali del Partito Democratico, anche a livello locale, presuppone, però, un’idea di organizzazione, ovvero un modello plasmato sulla base dell’obiettivo che si intende perseguire. Per il P. D. si tratta di un obiettivo scontato: ridare vigore alla partecipazione democratica.
A questo proposito fanno riflettere alcuni dati emersi da una recente ricerca curata da Ilvo Diamanti per “Repubblica”: i partiti sono percepiti come soggetti autoreferenziali, non più strumento ma ostacolo alla vita democratica. Il 66 % degli intervistati afferma di essere “d’accordo” con l’affermazione secondo la quale ”Oggi non ci sono più grandi differenze tra i partiti, tutti sembrano offrire più o meno le stesse cose”.
La stessa nascita del Partito Democratico per il 49,9 % del campione “non cambia niente” ed è ritenuto un fattore positivo solo dal 37,3 % degli intervistati. In una sorta di classifica della ”fiducia” coloro che manifestano di avere “molta o moltissima fiducia nei partiti” sono solo l’11,6%. Anche se il 51,7 % è d’accordo nel ritenere che “senza partiti non può esserci democrazia”. D’altro canto il 38,8 % condivide l’idea che “la democrazia possa funzionare anche senza partiti politici”. Il restante 9,5% addirittura “non sa rispondere”!
In questo quadro a tinte fosche il 70,2 % degli intervistati, tra coloro che votano centro sinistra, ha però apprezzato le primarie e reputa questo metodo, ovvero “le elezioni aperte a tutti gli elettori interessati” la migliore modalità di scelta del leader, mentre solo il 15,8 % del campione la affiderebbe ai solo iscritti di partito.
Quali indicazioni trarre da questi dati?
Una su tutte: il cittadino elettore si è emancipato e chiede di avere piena cittadinanza politica, rifiutando mediazioni partitiche che considera inutili.


Il partito aperto
Da ciò discendono due scelte ineludibili: la partecipazione diretta di tutti gli elettori simpatizzanti nelle fasi cruciali della vita democratica interna al partito e la piena autonomia delle singole realtà organizzate, siano esse realtà territoriali o gruppi organizzati per temi o per obiettivi.
Ciò non toglie che la scelta di costituire un partito (seppure del leader) e non un movimento, comporti delle conseguenze, ovvero la necessità di dare corpo anche una struttura stabile, solida.
Lo statuto dovrà coniugare queste due esigenze, disegnando accanto alla parte “solida”, strutturata, una componente “liquida”, quale canale di partecipazione costantemente aperto a tutti gli elettori “vicini”.
In questa direzione sembrano orientate anche le prime bozze statutarie: accanto agli “aderenti” (gli iscritti, i militanti) ci sono i “sostenitori”, che godono, come i primi, in quanto registrati ed iscritti in un “Albo”, di eguali diritti, salvo, a quanto pare, l’elettorato passivo.
Per divenire sostenitori è sufficiente sottoscrivere il manifesto dei valori, partecipando così alle elezioni primarie, alle elezioni degli organismi interni ed ai forum tematici promossi dal partito.
Se l’obiettivo è quello di “includere” si tratta di un coraggioso passo nella giusta direzione. Ma va ancora colmata una lacuna: deve essere garantita non solo facilità di accesso all’Albo ma anche di “uscita”. Meglio sarebbe chiedere al sostenitore di confermare la propria iscrizione nell’Albo ogni qualvolta si procede ad una consultazione. Va poi disciplinata la campagna elettorale delle primarie che deve garantire condizioni paritarie per tutti i candidati.
Ma le primarie non possono essere l’unico canale di dialogo ed accesso “leggero”al P.D.
Occorre avere più coraggio sino a spingersi a creare forme di aggregazione libere, sganciate dagli organismi di partito, che vivano una loro vita autonoma, seppure nella disponibilità a dialogare e partecipare ai momenti decisivi del partito “solido”.
Un’idea potrebbe essere quella di creare un organismo indipendente dalla “dirigenza” interna (Il Coordinatore, il portavoce, l’esecutivo ecc ecc) il cui compito è “accreditare” questi soggetti “fluttuanti”, verificando ed attestando che si tratta di persone, o gruppi, che vivono non strumentalmente il rapporto con il P.D. condividendone i valori fondanti. Il Codice Etico dovrebbe comunque scongiurare ogni pericolosa infiltrazione.
Si tratta di aprire soprattutto a gruppi tematici ed a libere aggregazioni locali: ad esempio le liste civiche ma anche le molte aggregazioni che nascono intorno ai temi ambientali e sociali.
Possono, anche nascere gruppi di derivazione di realtà associative vicine al P.D. che attraverso il meccanismo dell’accreditamento, pur restando autonome e quindi senza ripercorre forme di improbabile collateralismo, ove lo desiderino, possano portare, anche solo su particolari temi, il loro contributo su alcuni temi.
Infine, il web può costituire uno strumento importante: possono nascere gruppi tematici composti da soggetti identificati (ed accreditati dall’organismo di certificazione) chiamati a partecipare ai processi decisionali. In questo senso mi sembra ottima l’idea di Fasano di organizzare dei forum periodici durante i quali raccogliere le diverse proposte e dare corpo ad un progetto politico.
In altri termini se da un lato si tratta, di garantire alla parte “solida” la possibilità di proiettare la propria azione politica nel medio e lungo periodo, dall’altra si deve consentire, al contempo, alla parte liquida di interagire sia nei momenti di elettorali e nella scelta dei leader sia nella formazione delle scelte politiche qualificanti la linea politica del Partito Democratico.
In questo senso lo Statuto deve garantire la “parte solida“, i militanti, non vanificando e non disperdendo nella frenesia di un eterno nuovismo, la preparazione e l’esperienza acquisita in anni di lavoro nel partito o nelle istituzioni. Si tratta anche qui di non essere ipocriti e stabilire regole certe: il diritto alla ricandidatura dopo il primo mandato (salvo gravi fatti) ma anche il limite del doppio (a livello amministrativo) o triplo mandato (a livello legislativo).

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